Le Schiene di Schiele, “Danze della sfiga”: la recensione

le schiene di schiele

Danze della sfiga è il nuovo album de Le Schiene di Schiele, band post-punk torinese che provoca a suon di pugni nello stomaco, alla ricerca di reazioni sopite tra chi ascolta. Otto tracce, otto inciampi su cui cadere, farsi male e imparare. 

Difficile ballare bene nella vita: c’è chi inciampa sul lavoro, chi nei traumi familiari, chi sotto il peso delle aspettative. È da questa metafora che parte Danze della sfiga, il nuovo disco de Le Schiene di Schiele, storie di ordinaria disfatta per raccontare il lato più amaro e grottesco dell’esistenza umana con l’urgenza, la rabbia e l’ironia di un post-punk viscerale e impegnato.

Le Schiene di Schiele traccia per traccia

Si parte sorseggiando un Martini Dry, che però non è proprio un aperitivo tranquillo: il brano picchia forte, parla di lavoro ma anche di quanto poco ce ne frega di quello che succede nelle altre parti del mondo. In fondo fabbricare armi “è un lavoro normale”, perché “se non lo faccio io, lo farà qualcun altro”. Bella botta per far partire il disco, niente da dire.

I desideri della Bassa padana stabiliscono un legame con Romanzo russo, in un’atmosfera che sulle prime è tranquilla, e poi invece spacca tutto. La sveglia suona, si va al lavoro, ma qui e là c’è qualcosa che esplode. Però “non preoccuparti è solamente un po’ di ansia”. Anche se visto così non si direbbe.

Martella profondamente mentre si pone qualche domanda La danza della sfiga, quasi title track che sa di ritmi quasi tribali e di pessimismo cosmico, affrontato però in modo decisamente combattivo.

Batte parecchio anche 10 giugno, che però si allinea su idee più malinconiche, senza rinunciare a energia ed elettricità. E se si mette insieme la data del titolo e il “Giacomo” invocato dal testo, si capisce come la canzone alluda al delitto Matteotti, seppure in modo abbastanza personale.

Qualcosa di enorme e spaventoso si muove sulle soglie di Il ricevimento, che lascia spazio a parti strumentali importanti prima di far partire il cantato. Il brano finisce in una sorta di danza, dai movimenti armoniosi ma suscettibile anche a qualche fermata che sottolinea il dramma crescente.

Selvaggia e muscolare, ecco Caino, tra le più rumorose e aggressive del disco, forse più punk che post, almeno come spirito, mentre i suoni sconfinano nel math rock. Anche qui ci sono opposizioni fra chi nasce fortunato e chi no. “Ora so che cosa prova Dio/quando muore Abele“.

La voce di Fitza offre un taglio decisamente diverso su Ti voglio bene, che parte piano ma fa salire la tensione rapidamente. C’è una marcia ad aprire Valore aggiunto?, ultimo brano del disco. Ancora interrogativi sul lavoro e sul suo significato, in relazione ai sacrifici che richiede e al pochissimo che rende in cambio.

Ok, siamo un po’ di parte nei confronti delle Schiene di Schiele, che ci hanno spettinato i pensieri recentemente dal vivo dal palco del Festival di Re Nudo. Però sembra oggettiva la qualità dei brani della band torinese, che immerge in ondate sonore furibonde testi intelligenti e molto taglienti.

Un disco che vibra fortissimo, si incazza anche di più e affronta il quotidiano decisamente di petto. Ci si lamenta di continuo del fatto che manchino riferimenti alla realtà nei testi delle canzoni contemporanee, mentre qui di realtà ce n’è a tonnellate, servita ancora fumante.

C’è una nuova ondata di band torinesi (oltre alle Schiene, Tragic Carpet Ride, Est-Egò per citarne un altro paio) che stanno per prendere possesso dell’underground senza guardare in faccia a nessuno. Stanno arrivando, e non dite che non vi avevamo avvertiti.

Genere musicale: post punk, hardcore

Se ti piacciono le Schiene di Schiele ascolta anche: Vivienne

Pagina Instagram le Schiene di Schiele

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