Nebbiolo, “Un classico”: recensione e streaming

Un classico è il disco d’esordio del cantautore piemontese Nebbiolo, in uscita per Libellula. Dieci brani interamente autoprodotti e mixati allo storico Transeuropa Recording di Torino, che indagano le relazioni umane con delicatezza, in un riuscito mix di suoni analogici e digitali.
Nebbiolo traccia per traccia
Si parte con molto synth e le atmosfere vintage di A cosa serve?, che ha un andamento molto indie pop ma un testo che sembra depositato abbastanza a lungo.
Problemi climatici e ricordi con Neve e Francia, morbida e intima, un po’ ovattata, con suoni e un cantato leggermente sghembi.
C’è un po’ di Paolo Conte sul fondo di Negroni Sbagliato, ritmata e un po’ jazzata a livello di suoni e atmosfere. Il mood è disilluso e leggermente distaccato.
Spotify ha un’apertura molto indie, ma anche qui c’è disillusione distribuita a piene mani e sentimenti dolceamari.
Si prosegue con le note sparse di Non dico amarsi, un po’ più rapida e con il basso che si fa notare, qualche scivolata sonora, qualche stop e ripartenza.
Parte piano Università della Strada (quella che di solito poi conduce a un impiego presso se stesso), altro brano malinconico ma ritmato anche da schiocchi di dita, con spazi contemplativi.
Si viaggia a intimità più profonde e morbide con Ti Proteggo, dalle linee molto semplici e un beat che si accende nella seconda parte.
Ritratto in rilievo quello di Pelle pallida, descrizione fitta di particolari e di groove, con idee sonore internazionali in circolo.
Ricordi ondeggianti quelli di Addio, a metà tra Califano e Vasco, con un organo elettrico che alza leggermente i toni.
Si chiude con il recitato (anzi, declamato), descrittivo del genere femminile, così desiderabile e così sempre in fuga, di Finale Pazzesco, featuring Burbank e anche parecchia altra gente via vocale.
Un approccio interessante, quello di Nebbiolo, con una palette di sfumature malinconiche molto adatte allo spirito dei tempi, ma anche con una certa originalità nell’atteggiamento generale.